mercoledì 28 giugno 2006

UDC/ post Referendum: discorso del Segretario On.le LORENZO CESA

Di seguito il Discorso pronunciato alla Direzione Nazionale UDC del Segretario Nazionale On.le LORENZO CESA.
Lascio a Voi ogni conclusione.



Cari amici,
l’analisi del risultato referendario sarà uno dei temi che desidero affrontare con Voi oggi,
oltre ad analizzare e discutere una serie di argomenti piu’ complessivi che riguardano il nostro rapporto con gli elettori, il nostro ruolo di forza di opposizione, le strategie del centrodestra e, soprattutto, dell’UDC.


Per quanto riguarda il referendum, comincio da un dato che mi ha colpito: la partecipazione al voto.
Un’affluenza relativamente elevata soprattutto se si considera che gli italiani hanno dovuto affrontare, negli ultimi mesi, diversi appuntamenti elettorali.
Ebbene, in questo quadro, l’alta percentuale dei votanti dimostra la volontà dei cittadini di contribuire alle scelte fondamentali del paese.

Un dato che non possiamo che considerare positivo.
Ma che comporta anche un motivo di riflessione e di preoccupazione:
il centrodestra non riesce a mobilitare adeguatamente il proprio elettorato se non in occasione delle elezioni politiche generali. Argomento, questo che insieme ai nostri alleati dovremo ampliamente studiare ed approfondire.
In democrazia, cari amici, gli elettori hanno sempre ragione.
Per questo noi riconosciamo l’importanza e il significato della vittoria del No.
Intendiamoci, scommettere sul successo del No era facile, tutte le previsioni convergevano nella stessa direzione e nelle analisi delle intenzioni di voto non c’è mai stata incertezza.

Dunque anche noi avremmo potuto fare una scelta di convenienza, una scelta di comodo per cavalcare la vittoria dei No dopo aver votato per quattro volte in parlamento a favore della riforma.
Ma noi, con coraggio e correttezza, nella nostra ultima direzione abbiamo preferito le ragioni della coerenza a quelle della convenienza.

Noi abbiamo difeso strenuamente le ragioni del Sì perché abbiamo contribuito in modo determinante a migliorare la riforma, mantenendo al tempo stesso il massimo rispetto per la Carta Costituzionale, che, nella sua prima parte, non era stata minimamente toccata.
Per noi la riforma sottoposta a referendum era criticabile e poteva essere modificata, ma costituiva comunque una buona base di partenza.
Non abbiamo mai mancato di segnalarne le incongruenze cercando, al tempo stesso, di introdurre le migliori correzioni possibili.
Noi, amici dell’UDC, sapevamo che la vittoria del No era probabile.
Perché approvare la riforma a colpi di maggioranza, è stato un errore, favorito, pero’, dal rifiuto costante, caparbio e pregiudiziale del centrosinistra ad ogni forma di dialogo.
E sapevamo che la formidabile macchina di propaganda dell’Unione riusciva a far passare il messaggio, ingiustificato ma efficace, di una riforma che divideva, che allontanava, che contrapponeva ricchi e poveri, Nord e Sud.
Per questo non abbiamo mai nascosto ai partiti alleati le nostre preoccupazioni, sia durante sia dopo l’approvazione della riforma.
Ma, nonostante ciò, cari amici, abbiamo mantenuto una linea di coerenza
con la nostra coscienza,
con la nostra attività parlamentare,
con i nostri impegni con gli alleati.
Anche se è passato un messaggio diverso, amici dell’UDC, noi sappiamo che la riforma non era contro il Sud.

Perché, grazie alla nostra azione,
la devolution, tanto sbandierata dalla Lega, era stata ricondotta entro margini di sicurezza che non minacciavano ma tutelavano gli interessi unitari della Nazione.
A chi ha fatto credere agli italiani una cosa diversa, ricordiamo che oggi, dopo il referendum, resta in piedi una sola riforma:

la vergognosa modifica del titolo V° della costituzione, approvata con un blitz nel 2001, dal centrosinistra, con cinque voti di maggioranza.
Una riforma talmente dannosa, non solo per gli equilibri complessivi dello Stato ma anche e soprattutto per il Mezzogiorno, da costringere l’Unione a prevedere esplicitamente, nel proprio programma, una riforma della riforma!
Questa è la verità e questo ci fa temere che la vittoria del No, porterà alla paralisi di ogni iniziativa riformatrice.
Ovviamente ci auguriamo di sbagliare.
Per questo, dunque, abbiamo difeso il Sì : lo abbiamo fatto per ragioni di contenuto, di coerenza, di lealtà.
Il referendum ormai è alle spalle.
Gli italiani hanno parlato con voce chiara e forte, noi li abbiamo ascoltati e ora abbiamo il dovere di guardare avanti.
In una linea di continuità e di coerenza, l’UDC si è sempre battuta, nei limiti delle proprie forze, perché le norme costituzionali fossero frutto di un dialogo sereno e costruttivo condiviso da tutte le forze politiche.
Anche in questa campagna elettorale lo abbiamo fatto: mentre difendevamo le ragioni del Sì con la nostra consueta moderazione.
Siamo riusciti a stemperare il confronto tra i poli proprio in previsione del dopo referendum.
Per questo abbiamo chiesto ad alleati e avversari che, subito dopo il referendum, qualunque fosse il risultato, si riaprisse la via del dialogo, perché siamo assolutamente certi che il paese ha bisogno di riformare e ammodernare le proprie istituzioni.

Ebbene, è lo stesso appello che rilanciamo vivamente e con forza oggi.
Lo strumento,
siano le vie ordinarie, sia la costituente, sia la convenzione,
lo sceglieremo insieme,
quel che conta è la volontà politica di procedere insieme.
Noi siamo determinati a farlo.

Speriamo e chiediamo a tutti di manifestare la stessa volontà.
C’è un problema piu’ grande del referendum che sarà al centro del prossimo congresso nazionale dell’UDC.
Un problema che ora vorrei solo accennare:
il centrodestra, questo centrodestra, dopo tre sconfitte elettorali consecutive ha l’obbligo di riflettere e di riorganizzarsi sia sul piano strategico che su quello organizzativo.
La prima cosa da fare è sottrarre la Casa delle Libertà alla suggestione-illusione di potere infliggere al governo Prodi la famosa spallata e tornare, presto, al timone del Paese.
Nel breve periodo la spallata non ci sarà e insistere su questo tema puo’ avere un effetto opposto a quello che si cerca di ottenere.
Invece di indebolire l’Unione si rischierebbe di fornire a Prodi il miglior ricostituente per rimettere in piedi la maggioranza fragile e lacerata che lo sostiene.
Il centrodestra, piuttosto, deve meditare sulla strategia, avviare una seria analisi e interrogarsi su come costruire il proprio rilancio:
come riproporsi davanti al Paese,
come organizzare quella opposizione nazionale responsabile e costruttiva che può rappresentare una credibile alternativa di governo.

Un’opposizione che non si fondi piu’ su appelli elettoralistici ma che apra un confronto parlamentare rigoroso sui provvedimenti e sulle cose da fare per il bene del Paese.
Finora non ho pronunciato il nome di Berlusconi. Adesso, però, devo farlo.
E lo faccio per chiedere: eve fare autocritica Berlusconi?
La mia risposta è che, per essere credibile e seria, l’autocritica deve riguardare tutte le forze del centrodestra, anche noi.
Troppo spesso Berlusconi è stato un alibi, per gli avversari come per gli alleati.
Troppo spesso la sua immagine pubblica ha rappresentato, per i nostri avversari così come per qualche alleato, una vera e propria ossessione, una lente deformante che ha alterato la percezione della realtà e ha fatto perdere lucidità di analisi.
E’ un modo sbagliato di vedere la politica dal quale dobbiamo liberarci.
Come?
La ricetta mi sembra abbastanza intuitiva.
Il centrodestra, per ripartire, deve concentrarsi non sulle persone ma sulle idee e sui progetti.
Senza questo nuovo approccio, io credo, siamo destinati a un’involuzione pericolosa per noi e per il Paese.

In proposito vorrei proporre qualche spunto. Io non credo a un centrodestra populista, demagogico, impegnato in un’eterna sfida ai poteri forti, che pensa di tornare a guidare l’Italia attraverso un’opposizione di corto respiro, fatta solo di istinto e aggressività.

Così come non credo, tra noi, a una classe di nobili elfi, mi rifaccio allo schema narrativo del "Signore degli Anelli", che tutto sa e tutto indovina, tranne, magari, i risultati elettorali! Come dicevano i nostri saggi nonni: "gli assenti hanno sempre torto".

Cari amici,
io credo piuttosto in un centrodestra diverso,
da costruire con umiltà attraverso il confronto e la partecipazione diretta e intensa alla vita di partito, il cui leitmotiv sia l’attenzione ai contenuti e poi ai contenitori, sia lo studio e la considerazione di strategie e poi di sigle.
Per questo non credo né al partito unico né alla federazione di partiti.

I risultati elettorali (che pesano) dimostrano che i successi, come quello dell’UDC, si basano su identità chiare, forti e precise e non sulla confusione di ruoli e la sovrapposizione di apparati privi di anima.
In questa logica mi pare fondamentale ricominciare dalla ridefinizione di quel che siamo oggi, cioè dall’opposizione.

Bisogna guardare al futuro, non al passato, e ripartire da temi riconoscibili, quelli che stanno a cuore al nostro elettorato, a quella metà degli italiani che ci ha già dato il suo consenso e che può crescere se sapremo comprenderne le esigenze.
Vorrei dare atto ai nostri gruppi parlamentari di avere già iniziato con efficacia questa opera di ricostruzione del consenso a vantaggio dell’Udc e di tutto il centrodestra.
I risultati, siatene certi, non tarderanno ad arrivare soprattutto se, come vi chiedo, l’impegno dei singoli sarà sostenuto dal lavoro corale e di squadra di tutto il partito, senza che nessuno si chiami fuori.
La difesa della vita e della famiglia,
la lotta senza quartiere alla droga,
la tutela del ceto medio,
la competitività e, naturalmente, la politica estera.
Su questi terreni, costruttivamente e con incisività, dobbiamo lavorare e sviluppare la nostra azione politica e parlamentare, incalzando il governo a fare il proprio dovere e a rispettare gli impegni assunti con gli elettori e già in buona parte disattesi.

Un primo banco di prova per misurare la serietà e la concretezza del nostro ruolo di minoranza responsabile è costituito dall’atteggiamento che terremo in Parlamento sul rifinanziamento delle missioni internazionali di pace.
Il rifinanziamento della missione in Afghanistan sarà infatti la cartina di tornasole di una opposizione che coltiva ambizioni di governo, che non è sfascista nè sterile.
Su questo punto un partito come l’Udc non può rinnegare i pilastri di una politica atlantica che è stata il vanto del governo Berlusconi e che si colloca nel solco della nostra storia politica di democratici-cristiani.
Guai se per coltivare l’ illusione di una spallata al governo Prodi disperdessimo una convinzione profonda e un tratto distintivo comune a tutti i moderati europei.
Per indebolire il governo, ne sono certo, l’aggressione puo’ essere la strada piu’ sterile e controproducente.
Quel che occorre, piuttosto, è la sfida quotidiana sul terreno della governabilità.
Per questo, con tutto il rispetto per i colleghi Bondi e Cicchitto, che vorrebbero votare contro queste missioni, noi diciamo che le loro motivazioni non ci convincono e che i loro anatemi non ci impensieriscono.

Cercheremo di fare insieme a loro ciò che abbiamo sempre fatto nei momenti migliori della storia della nostra alleanza di centrodestra (ricordo il voto per le missioni nel Kosovo). Chiedo a tutti voi di riflettere anche su questo.
E’ bastata la sola ipotesi di un nostro voto favorevole sulle missioni italiane all’estero per alimentare preoccupazioni, distinguo e lacerazioni in tutto il centrosinistra.
Ora la maggioranza sostiene di aver trovato una intesa globale.
Ce lo auguriamo, anche se siamo convinti che si tratti, come al solito, di intese superficiali basate su giochi di parole, ipocrisie e cortine fumogene, basta cambiare il nome della missione o non citare il termine "militare", anche se i militari ci sono, e a Rifondazione va tutto bene !

Una cosa, comunque, deve essere chiara: su questo e su altri temi fondamentali per il nostro Paese, noi non faremo le nostre scelte in funzione di Prodi e della sua maggioranza.
Noi le faremo per far crescere quel nuovo centrodestra che vogliamo costruire con coraggio e senso di responsabilità.
I nostri interlocutori sono e saranno gli italiani, gli elettori, i nostri elettori, non certo Prodi e la sua volatile maggioranza.
Dall’opposizione, dunque, ricomincia la nostra lunga marcia.
Ci attendono mesi di duro lavoro.
Noi, ne sono convinto, siamo pronti ad affrontarli insieme e a lottare come solo i moderati sanno fare, sostenuti dalla forza delle proprie motivazioni, delle proprie convinzioni, delle proprie idee piu’ profonde.
GRAZIE.





2 commenti:

Anonimo ha detto...

Penso che occorra confrontarsi con le altre forze politiche del centrodestra riguardo al voto favorevole della missione in Afghanistan, e non esprimere un SI unilaterale, che assomiglia ad una sorta di "soccorso bianco " ad un governo in difficoltà.
Non vorrei che l' UDC si isolasse dalle altre forze della coalizione, in modo da compromettere la propria visibilità in un ipotetico futuro governo del centrodestra nel caso si vada a nuove elezioni anticipate.

Anonimo ha detto...

Giusto ma è necessario seguire i prinicipi che già il filosofo Maritain ci ha insegnato, perchè la coerenza viene sempre pagata. Allora in questo caso è meglio la RAGION DI COALIZIONE o la RAGION DI STATO?
Credo che sia una scelta importante e un necessario distinguo che l'UDC deve, per rispetto dei suoi elettori, saper prendere nei confronti di tutta la CDL, che, invece, risponde più ad una logica padronale.
Forza UDC